Il diritto all'oblio non è un'opinione. Neanche nella sentenza della Cassazione del 24 Giugno 2016
Chi mi segue sa che parlo spesso di diritto all'oblio, perchè è una materia che mi sta molto a cuore, in quanto vedo spesso commenti ingiusti che lo vedono quale antitesi e pericolo del diritto di cronaca o quando va bene del diritto storico o documentaristico. In realtà invece è un diritto sacrosanto dell'interessato che non deve alcun modo essere perseguitato dalla memoria imprevedibile della Rete. Il che peraltro contrasterebbe con gli stessi principi sottesi alla funzione rieducativa della pena. Oggi, dovrebbe essere del tutto evidente che la pena non possa più essere considerata come un semplice castigo (come invece sarebbe se non esistesse il diritto all'oblio che in mancanza permetterebbe la diffusione all'infinito delle colpe del reo); emblematico in questo senso l'art. 27 della nostra Costituzione in cui è sancito il principio per cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione (e alla risocializzazione) del condannato. Difficile pensare ad una risocializzazione quando i tuoi precedenti (anche banali) rigalleggiano in Rete all'infinito.
La sentenza che qui si commenta è quella della Corte di
Cassazione del 24 giugno 2016; la numero 13161/16, che secondo alcuni
commentatori avrebbe la particolarità di
dilatare la portata del (già ampliato dal recente Regolamento Europeo
Privacy) diritto all’oblio, nel senso
che imporrebbe una scadenza al diritto di cronaca, non potendo una notizia
persistere nell'archivio digitale dopo un tempo considerato (da loro)
eccessivamente modesto. Che poi sarebbe quello che va dal 2008 al 2011, e che
nella sentenza si riferisce alla deindicizzazione e non alla cancellazione
dall'archivio digitale come invece molti commentano).
Il diritto all'oblio è quel diritto secondo cui si
può essere dimenticati, in modo che il nostro passato non riemerga
con una ricerca online anche dopo anni e sul quale ho già approfonditamente
scritto ().
La prima cosa che si rileva è che chi ha commentato la
sopracitata sentenza l'abbia fatto sulla base di altri articoli del medesimo
tenore, non riferendo la stessa di un obbligo di cancellazione dall'archivio
storico e che Qui si preferisce
riportare per esteso ().
Risulta evidente
dalla lettura della sentenza che non si affermi assolutamente che il diritto di
cronaca abbia una scadenza, imponendo la cancellazione dei dati dall'archivio
storico del giornale ma semplicemente dice, come molte altre decisioni
sull'argomento, che la deindicizzazione deve essere garantita in tempi ragionevoli.
Lo stesso Luigi Montuori (funzionario dell'autorità
Garante per la protezione dei dati personali) ha spiegato in una recente
intervista radiofonica in tema di diritto all'oblio che è “importante differenziare il diritto
all’oblio e il diritto alla
contestualizzazione della notizia. Sul primo aspetto, ad esempio, una
persona condannata e che ha espiato la sua pena ha diritto ad utilizzare il
codice sulla protezione dei dati personali e chiedere che la notizia venga quanto meno deindicizzata. Sul secondo
aspetto, immaginiamo un cittadino che viene invece indagato e poi prosciolto e
che si ritrova con la notizia del suo essere finito sotto indagine ancora in
circolazione”.
Quello che la corte di Cassazione afferma non è la
scadenza del diritto di cronaca che permane, potendo la notizia legittimamente
risiedere nell'archivio storico del giornale, ma che la stessa deve essere non
tardivamente deindicizzata come invece avvenne nel caso in questione (notizia
del 2008 e deindicizzazione del 2011).
Ed è proprio dalla tardiva deindicizzazione che deriva il risarcimento del
danno nel caso in esame di cui all'art. 15 del codice privacy
La Cassazione ha stabilito che “”. Vicenda che, ai tempi della richiesta di rimozione
dell’articolo, non si era ancora conclusa in giudizio.
Più precisamente nella sentenza 13161/16 della Suprema
Corte si legge “ d'altra parte se da un
canto la persistente pubblicazione e diffusione su un sito web della notizia di
cronaca in questione risalente ad un fatto del 2008 appare per la oggettiva e
prevalente componente divulgativa esorbitare dal lecito trattamento di
archiviazione on line di dati giornalistici per scopi storici o
redazionali.....
Per gli ermellini “la facile accessibilità e consultabilità
dell’articolo giornalistico, molto più dei quotidiani cartacei tenuto conto
dell’ampia diffusione locale del giornale online, consente di ritenere che
dalla data di pubblicazione fino a quella della diffida stragiudiziale sia
trascorso sufficiente tempo perché le notizie divulgate con lo stesso potessero
soddisfare gli interessi pubblici sottesi al diritto di cronaca giornalistica,
e che quindi, almeno dalla data di ricezione della diffida, il trattamento di
quei dati non poteva più avvenire”.
ha dichiarato Montuori
nella trasmissione radiofonica Presi per
il web
Montuori ha approfondito la questione, in relazione
soprattutto alle vicende di cronaca. Su questo fronte, la giurisprudenza
italiana si muove infatti tra due differenti sentenze. La prima, del gennaio 2013, che ha visto la
condanna del direttore del giornale online abruzzese al pagamento di un
risarcimento nei confronti di alcuni ristoratori della zona per un articolo
riguardante un fatto di cronaca giudiziaria vero, ma che, a detta del
tribunale, era rimasto online troppo a lungo arrecando così un danno ai
protagonisti della vicenda.
La seconda, invece, è quella della , che stabiliva come
fosse un dovere dell’editore o comunque del responsabile di un database web
tenere aggiornati i materiali relativi a procedimenti giudiziari per garantire
il diritto alla contestualizzazione dell’informazione. Secondo il parere della
Corte, un articolo può rimanere online ma va obbligatoriamente aggiornato, così
da tutelare sia l’immagine della persona coinvolta sia rispettare il diritto
dei cittadini ad essere informati.
Appare dunque evidente la differenza di approccio tra un
Tribunale che cerca di imporre una “data di scadenza” alla permanenza di una
notizia nella disponibilità dei lettori di un giornale e la Suprema Corte che,
invece, riconosce da un lato il valore di documentazione storica dell’archivio
del giornale ma, dall’altro, cerca un punto di equilibrio tra questo valore e
le esigenze di aggiornamento figlie del diritto degli interessati a veder
correttamente rappresentata la propria immagine online.
Sull'argomento suggerisco anche la lettura delle
argomentazioni dell'Avv. Daniele Minotti () che evidenzia bene la sentenza e la
decisione del Garante che impongono l'aggiornamento nell'archivio storico con
modalità che garantiscano la visibilità in ordine degli articoli.
In questo sito si può verificare lo stato delle richieste di diritto all'oblio in relazione alla deindicizzazione di google https://www.google.com/transparencyreport/removals/europeprivacy/?hl=en
Avv. Monica Gobbato